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Arriva Santa Lucia, festa della luce. Prepariamo le arancine

Il giorno di Santa Lucia è legato a tanti simbolismi religiosi e pagani che rendono questa festa molto sentita in tutto il mondo. Insieme proveremo a fare un interessante viaggio  per capirne il vero significato attraverso  antiche tradizioni fino alle più famose ricette siciliane di arancine, panelle e crocchè.

Lucia era una bella fanciulla siciliana, nata a Siracusa nel 283 circa, figlia di un ricco nobile, nota per la sua  dolcezza e affabilità. Ella si accostò al Vangelo e decise di convertirsi al cristianesimo mentre la sua famiglia era pagana. La fanciulla rifiutò di sposare un uomo, cui era stata promessa in sposa, poiché aveva deciso di prendere i voti.

La sua famiglia cominciò a perseguitarla per convincerla a cambiare idea ma la sua irremovibilità le costò i suoi bellissimi occhi e, in seguito, la vita stessa. Si narra che un miracolo le restituì gli occhi e, da allora, Santa Lucia è considerata la protettrice degli occhi e della vista, e nel giorno del suo martirio, che cade il 13 dicembre, in alcune città d’Italia, si pensa che porti i doni ai bambini meritevoli in groppa ad un asinello fedele compagno del suo lungo viaggio che si ripete ogni anno.

Ma il giorno di Santa Lucia è associato  anche ad una simbologia precisa e ad antichi riti magici associati alla luce, infatti, prima dell’introduzione del calendario del 1580, la festa si celebrava nel “giorno più corto che ci sia”, ossia il 21 dicembre (solstizio d’inverno) che è il giorno dal minore numero di ore dell’anno.

La festa di Santa Lucia è molto diffusa soprattutto nei paesi nordici poichè preannuncia l’arrivo dei mesi di luce. In Svezia, la Santa, simbolo della luce, viene celebrata sin dall’alba del 13 dicembre, da migliaia di bambine che, indossate candite vesti e  adornato il capo  con corone di candele accese, intonano melodie celestiali per illuminare il buio inverno svedese. La giornata procede fra balli, canti, degustazioni di dolci e bevande tipiche.

A Palermo il 13 dicembre, giorno in cui si celebra la Vergine siracusana, si ricorda il “vetustu avvenimento”, che la santa implorata dai palermitani afflitti da mesi di carestia, esaudì i loro desideri facendo arrivare nel porto un bastimento carico di grano. I palermitani affamati, per sfamarsi in fretta bollirono direttamente il grano senza “molirlo” per farlo diventare farina, e lo condirono solo con un filo d’olio, creando la base di quel dolce morbido e cremoso noto oggi con il nome di cuccìa. Da allora a Palermo ogni anno  i devoti ricordano solennemente l’avvenimento, astenendosi durante tutto il giorno dal mangiare derivati della farina (pasta e pane) preferendo a questi riso, arancine, panelle, crocchè e cuccìa.

Ovviamente la cuccìa, che in questo  giorno adorna con i suoi chicchi preziosi tutte le vetrine delle pasticcerie e profuma le case di tutti i palermitani,  è molto più ricca di quella che ristorò i nostri antenati affamati. Nella sua versione classica, essa prevede, infatti, che il grano, una volta cotto, sia condito con crema di ricotta, cannella, zucchero, canditi e gocce di cioccolato. Esistono poi altre “versioni” della cuccìa  di cui una è con latte e cacao, un’altra con crema di cioccolato oppure, soprattutto in alcuni paesi dell’entroterra, con il vino cotto ottenuto dalla bollitura di vino e zucchero fino ad ottenere un composto dalla consistenza cremosa.

A seguire fanno “il loro ingresso trionfante” le dorate “panelle” accompagnate dai paffuti “crocchè”, compagni inseparabili,  entrambi perfetti nella loro croccante morbidezza che rappresentano una tradizione gastronomica palermitana talmente  importante e complessa da meritare un capitolo a parte. A questo punto, “non resta” che occuparci  delle  superlative “perle dorate,  orgoglio della rosticceria palermitana: le arancine così chiamate poiché hanno la forma e la grandezza di piccole arance.

Non esiste bar o rosticceria di Palermo, in cui il 13 dicembre in particolare (ma fortunatamente potete trovarle tutto l’anno) non vengano esposte in bella mostra delle rotondissime arancine dai gusti classici “accarne” (con ragù di carne) e “abburro” (con burro, mozzarella, e prosciutto) o dai gusti particolari : funghi, spinaci, melanzane, salmone, pesce spada, quattro formaggi, fino a prevedere persino una versione dolce al cioccolato che, superato il pregiudizio iniziale, merita uguale attenzione. Ovunque la si cerchi, è certo, che non esista una unica versione della ricetta delle arancine poiché essendo l’emblema della rosticceria palermitana (da non confondere con gli arancini catanesi) tantissimo è stato scritto e tantissimo, ancora lo sarà.

D’altra parte, sebbene quelle che  vendono ovunque siano ottime e offrano diverse possibilità non solo nei gusti ma anche nelle dimensioni ( sono famose quelle di un noto bar di Palermo definite “teste di bambino” per la loro grandezza) poiché è innegabile la soddisfazione e il gusto che si prova nell’ addentare un’arancina preparata con le proprie mani, vi riportiamo, di seguito, una ricetta che rappresenta la “summa” di uno studio approfondito di tante ricette  e che consentirà di cimentarsi nel rituale delle “arancine di Santa Lucia” che per i palermitani ha una valore “magico” oltre che religioso.

Arancine “accarne” (veg)

Ingredienti (per circa 20 arancine)
1 kg di riso per arancine
2,5 lt di acqua
50 gr. di burro (o margarina)
2 bustine di zafferano
sale q.b
Per il ragù
 1 carota
1 cipolla bianca
1 costa di sedano
500 gr. di tritato (di soia o seitan)
200 gr. di piselli
vino bianco
un cucchiaio di concentrato di pomodoro
1 lt d’acqua
olio  extravergined’oliva q.b.
Per la panatura : acqua , farina bianca q.b., pangrattato q.b.

Cuocete il riso a fuoco moderato e, una volta cotto, aggiungetevi, fuori dal calore, il burro e lo zafferano (precedentemente sciolto in poca acqua tiepida).Fate riposare il “risotto” almeno un paio d’ore (meglio se una notte intera) in modo che l’amido rilasciato durante la cottura renda il composto piuttosto compatto. A parte, fate rosolare la cipolla, poi aggiungetevi la carota, il sedano, i piselli e in ultimo il tritato(di soia) e sfumate con il vino bianco. Aggiungete il concentrato di pomodoro, allungate con acqua e lasciate restringere il ragù fino al completo assorbimento (mezz’ora circa).
Con le mani inumidite prendete  il riso raffreddato e “rassodato” e riempite un palmo della mano in modo da lasciare una parte cava che riempirete con il ragù. Coprire la cavità riempita con altro riso dando la forma di una piccola arancina. Ricordate che il nome “arancina” indica appunto una “piccola arancia” dunque non occorre esagerare creando “sfere” di grandi dimensioni anzi saranno più gustose quanto più saranno di  proporzioni “normali” in modo che vi sia la giusta proporzione tra il riso e il condimento. Una volta chiuse, passate le arancine in una pastella (lega)preparata in precedenza sciogliendo la farina nell’acqua, cui avrete unito l’uovo. Dopo avervi immerso le arancine, passatele nel pangrattato.Friggetele in abbondante olio bollente e servite calde.

Quando alla passione per il cibo, inteso nella sua accezione più nobile di storia e cultura della gastronomia, si unisce quella per la scrittura, può divenire forte l’esigenza di creare un contenitore in grado di riunire tutte le tematiche che ruotano intorno a questo inesauribile argomento.

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